Sigfrido Zipper
28 Aprile 1915 - 7 Marzo 2009
Pensieri in memoria, di Francesco Zipper
Il 7 Marzo prossimo saranno trascorsi 14 anni da quando è "andato avanti".
Nulla è cambiato rispetto a quanto scrissi lo scorso anno sulla drammatica guerra in corso in Ucraina, anzi....
Rievoco, pertanto, alcuni ricordi di mio Padre a proposito della Campagna di Russia e della guerra in generale. Perché mantengono pieno ed attuale significato.
Egli teneva a sottolineare in via prioritaria, immancabilmente: “quei pochi Alpini che abbiamo avuto la fortuna di tornare indietro dal fronte del Don lo dobbiamo anche alle donne russe, alle madri dei soldati russi, che di notte, durante la tormenta, a 40°C sotto zero, ci hanno dato riparo, ci hanno sfamato, ci hanno curato”.
Barlumi di umanità che però non riuscivamo a lenire il ricordo silenzioso e dolente delle sofferenze inflitte dalla follia della guerra. “Follia della guerra”, ripeteva spesso mio Padre dopo il suo congedo. “Eppure l’uomo” - sono sempre parole Sue - “spesso dimentica, e soprattutto dimentica con grande facilità cos’è la guerra, la sua ferocia, le sofferenze arrecate e subite, alfine, appunto, la sua follia. Perché non esiste mai, mai una ragione che possa giustificare la guerra e la sua barbarie”.
Il 26 Gennaio dell’anno in corso ricorreva l’ottantesimo anniversario della battaglia di Nikolajewka. Al di là della retorica, che a Papà non piaceva proprio, si trattò di un’azione eroica della Divisione Alpina Tridentina con altre Unità, che consentì di superare l’accerchiamento delle soverchianti truppe russe, dando l’avvio alla ritirata dell’ARMIR, la cui immane tragedia è a tutti nota. Gli Alpini volevano tornare “a baita”, a casa; quando si è altrimenti senza speranza, non si ha nulla da perdere, e non ti ferma nessuno, se non la morte.
Tra i commenti sulla battaglia di Nikolajewka e sul dramma della guerra sul fronte del Don, ho sentito taluno dire nell’agone politico, “qualcuno li ha mandati i nostri giovani, i nostri Alpini a morire in Russia”. Conosco il pensiero di mio Padre, anche se non ne abbiamo mai parlato, e ripropongo al riguardo quel che ebbe a scrivere: “…nonostante quello che ho vissuto, è stato per me un onore e motivo di orgoglio essere con gli Alpini in tutti i fronti della II Guerra Mondiale, da quello occidentale, a quello greco-albanese, a quello russo, a quello balcanico” in nome dell’Italia, ma “da quel gioco terribile ed orrendo che è la guerra, ho tratto molti insegnamenti e so a quali sublimi livelli può elevarsi l’uomo e a quali infimi può abbassarsi. Mi vanto di poche cose di quegli anni; una è che ho fatto la guerra, se così si può dire, con cavalleria, rispettando in ogni caso le popolazioni civili e la dignità umana dell’avversario”.
In queste parole, come in quelle dei Suoi Alpini, vi era, indubitabilmente, senso del dovere, dell’onore, spirito di corpo, indissolubile legame con i Suoi Compagni, riguardo umano per l’avversario. E dolore. Nessun risentimento, nessun rancore per quello, per noi inimmaginabile, che Egli ed i Suoi Commilitoni avevano sofferto. Verso nessuno.
Sono certo che dopo ottant’anni mio Padre avrebbe voluto che questa pagina terribile della storia d’Italia, che aveva personalmente vissuto, non fosse usata giammai per contrapposizione, avversione e lotta politica, ma servisse come motivo di riflessione e monito doverosi per le future generazioni, perché, come intona la canzone alpina “Sul ponte di Perati”: “la meglio gioventù” non andasse più “sottoterra”.
Di tutto ciò, da figlio, continuo ad essere orgoglioso. E’ per me una grande lezione etica. Solo chi è stato in guerra può capire ed attribuire un significato pieno, profondo alla parola “pace”, al suo valore, e soprattutto al valore della riappacificazione morale.
Sempre presente nei miei pensieri, Papà.
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